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Le nuove regole pensionistiche
Dal prossimo anno, i lavoratori italiani potranno andare in pensione a 64 anni, ma solo se raggiungono un importo minimo di assegno. Questa novità, introdotta con un emendamento della Lega alla legge di Bilancio, mira a rendere più flessibile l’accesso alla pensione, ma presenta numerosi ostacoli. Attualmente, questa possibilità riguarda solo i lavoratori assunti dopo il 1996, che ricadono totalmente nel regime contributivo.
Inoltre, il numero minimo di anni di contributi necessari per accedere alla pensione aumenterà da 20 a 25 anni nel 2025 e arriverà a 30 anni nel 2030. Questo cambiamento potrebbe escludere molti lavoratori, specialmente quelli con carriere discontinue o salari bassi.
Le critiche alle nuove norme
La segretaria confederale della Cgil, Lara Ghiglione, ha espresso forti critiche riguardo a queste modifiche. Secondo lei, le nuove regole non affrontano le disuguaglianze strutturali del sistema previdenziale italiano e non rappresentano un vero superamento della Legge Fornero. Infatti, le promesse di riforma sembrano essere state disattese, lasciando i lavoratori in una situazione di incertezza.
Ghiglione sottolinea che, invece di rimuovere gli importi soglia, il governo propone soluzioni che non fanno altro che aggirare il problema. Le nuove norme, infatti, peggiorano ulteriormente i requisiti per accedere alla pensione, rendendo la situazione ancora più complessa per i lavoratori.
Le conseguenze per i lavoratori
In un contesto di salari bassi e carriere discontinue, soprattutto per le donne, la possibilità di raggiungere l’importo soglia per la pensione diventa sempre più difficile. Molti lavoratori, in particolare quelli con contratti part-time, potrebbero trovarsi costretti a lavorare fino a età avanzata, senza la certezza di un adeguato sostegno economico al momento del pensionamento.
La situazione è particolarmente preoccupante per le 4 milioni di lavoratrici in part-time, che, anche se raggiungono i 40 anni di contribuzione, potrebbero accedere alla pensione solo dopo i 71 anni. Questo scenario evidenzia la necessità di una riforma strutturale del sistema previdenziale, che tenga conto delle reali esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici italiane.